LE LANCETTE DELL'ECONOMIA
L’economia italiana ricorda la storia di Calimero: ha del fiabesco ma è solida, trainata da investimenti, export e occupazione
di Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi
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L’economia italiana cresce di più – o rallenta di meno – rispetto all’Eurozona: quali fattori spiegano questa performance? E quali altri inciampi sono in agguato per l’economia mondiale? Perché il rimbalzo cinese non ha tenuto le promesse? L’inflazione si riduce: non abbastanza? Il cammino dei tassi-guida: chi continua, chi rallenta, chi si ferma? Dove va il dollaro? Le quotazioni azionarie sono sopravvalutate?
INDICATORI REALI
“C’era una volta un brutto anatroccolo…” Tutti conoscono il lieto fine della fiaba di Hans Christian Andersen, capace di tormentare i suoi personaggi, e i piccoli lettori che vi si immedesimano, con storie al limite della crudeltà, prima di sollevarli con il liberatorio finale. Qualcuno ricorderà anche una versione pubblicitaria nel mitico Carosello, con Calimero il pulcino nero che era solo sporco (d’altronde uno spot non può durare quanto una muta del piumaggio, ma un lavaggio sì!).
La strepitosa ripresa post-pandemica dell’economia italiana ha del fiabesco, ma non del miracoloso, essendo figlia di dure trasformazioni e del ravvedimento operoso nelle politiche macroeconomiche europee. Raccontiamola e inquadriamola nel contesto globale attuale.
L’antefatto, o il periodo della bruttezza e sporchezza. Dall’inizio del nuovo millennio all’ultimo anno pre-Covid la crescita economica dell’Italia è stata del tutto insoddisfacente. Ci siamo lasciati per strada più di un punto di minor aumento del PIL all’anno, rispetto agli altri maggiori condomini della moneta unica.
Cumulato fa oltre il 20%: per una famiglia sarebbe come smettere di guadagnare e spendere a metà ottobre e ricominciare a gennaio, rispetto a una tedesca o francese. Altro che tirare la cinghia! E pensare che i germanici additano gli italiani come cicale che elargiscono generose pensioni (un altro falso se consideriamo le rendite unitarie!).
Poi, dall’avvio del recupero dalla crisi da COVID il passo italico si è fatto più lesto e al primo trimestre del 2023 l’incremento del suo PIL risulta nettamente superiore di quelli di Germania, Francia e Spagna.
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Sorprendente è anche lo scarto tra le previsioni lungo tutto il corso del 2022 formulate per l’aumento del PIL nel 2023 e il risultato già acquisito: le prime, a un certo punto dell’anno passato, indicavano una riduzione reale per quest’anno, seppure piccola.
Adesso il risultato acquisito è di +0,9% ed è molto probabile che quello finale sarà di alcuni decimi di punto percentuale più elevato. Per carità: ci si era fasciata la testa annunciando la recessione imminente, per effetto della guerra, del doppio shock, energetico e alimentare, e dell’aumento del costo del denaro. Ma più che la cinghia tirata, seppure un po’ allentata dalle politiche dei governi, hanno potuto altri fattori. E la constatazione del superamento delle previsioni da parte della realtà serve proprio ad andare a cercare le ragioni e capire se sono solide o fatue.
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Se sezioniamo, con il bisturi delle statistiche, le componenti della domanda che sono andate più forti queste sono esportazioni e investimenti. Delle prime fa parte anche il turismo, e chiunque viaggi in lungo e in largo per lo Stivale, trova eserciti di visitatori a riempire treni, ristoranti, vie e piazze, come se fosse l’ultima possibilità di viaggiare nella vita. Ma nelle prime c’è anche la capacità competitiva del sistema delle imprese, aiutate da un andamento del costo del lavoro molto inferiore a quelli dei concorrenti europei. Imprese che stanno cavalcando le innovazioni con gli investimenti, seconda componente galoppante. Aiutata anche dalle costruzioni in abitazioni (benedetti i famigerati bonus!) e nelle opere pubbliche.
Competitività di costo unitario e nuovi impianti (anche un bar che aggiunge tavolini fuori dal locale crea maggiore capacità produttiva) hanno generato un’occupazione record, la quale rimpingua le casse delle famiglie impoverite dai rincari, che così possono aumentare i consumi, in una danza di domanda e offerta che assomiglia a quella dei pianeti che rincorrono il Sole in movimento intorno al centro della Via Lattea (a una velocità impensabile).
ECONOMIA ITALIANA: DURERÀ LA CRESCITA ITALIANA?
Durerà tale danza, oppure come nel gioco delle sedie musicali a un certo punto ci dovremo fermare e qualcuno verrà eliminato? L’esperienza degli ultimi anni ci ha insegnato la virtù cardinale della prudenza, perché i brutti anatroccoli diventano cigni, ma se sono neri non c’è detersivo capace di sbiancarli. Ma guardiamo ciò che permarrà e ciò che sparirà, sapendo che fiabe e pubblicità si distinguono dalla realtà soprattutto per il vissuto che rimane nella seconda. Sicuramente, l’aver conquistato quote di mercato nelle merci e aver attirato turisti continueranno a farci crescere, se la fiducia e l’esperienza dei clienti è stata soddisfatta, e non abbiamo motivo per dubitarne. Così come il vantaggio sul costo del lavoro, su cui sarebbe bene aprire una riflessione sull’attrattività di tali salari per i giovani, molti dei quali se ne vanno.
Invece, sull’espansione degli investimenti in costruzioni è lecito porsi la domanda: il PNRR e gli altri fondi stanziati dal Governo Draghi verranno utilizzati per mantenere alta la crescita effettiva e quindi innalzare quella potenziale? Si tratta di un’occasione storica, di quelle che si presentano ogni due generazioni. Chi la saprà cogliere potrà portarne vanto per alcune legislature a venire. Chi non lo saprà fare vedrà il bel cigno ritramutarsi in brutto anatroccolo; o la carrozza e i cavalli in zucca e topini, stando a un’altra fiaba le cui origini sono meno nordiche e quindi va presa molto sul serio.
E anche i mercati: lo spread fra BTp e Bund – cartina di tornasole del ‘rischio Italia’ – rimane in zone tranquille, così come l’altra ‘cartina’: lo spread fra BTp e Bonos. Tanto più che c’è un’altra ragione strutturale: la migliorata salute del sistema bancario (copyright Ignazio Visco). Dall’altro lato ancora, la politica di bilancio ha supportato efficacemente, nei tempi bui della pandemia, famiglie e imprese, con miglioramenti delle rispettive finanze e costituzione di riserve (‘tesoretti privati’) che hanno permesso di continuare a spendere, in consumi e investimenti, appena il Covid ha allentato la morsa.
Per il resto, il quadro economico internazionale continua a essere favorevole alla navicella italiana. I dati PMI dell’Italia sono ancora buoni, sebbene più per i servizi che per il manifatturiero (come dimostra l’ulteriore arretramento della produzione industriale in aprile), ma questo è un divario che si osserva quasi ovunque e ha ragioni su cui ci chineremo il prossimo mese.
Ora osserviamo che ci siamo lasciati alle spalle il tormentone del limite al debito pubblico Usa, ma che «novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno» – scrive il Poeta – e lo potremmo scrivere anche noi, dato che all’orizzonte – sia economico che politico – si stagliano altre minacce. Da una parte, ci sono tensioni crescenti sull’Ucraina, dove, fra attacchi di droni a Mosca, altre incursioni nella città russa di Belgorod (con morti), dighe danneggiate e imponenti allagamenti, la guerra si incattivisce. Continua poi l’alta tensione fra America e Cina, mentre si affacciano segni di rallentamento dell’economia europea (con l’Eurozona – ma non l’Italia – in ‘recessione tecnica’), ma non di quella cinese.
Allargando lo sguardo al Globo, osserviamo che gli ordini crescono a livello complessivo, ma mentre corrono nei servizi, tendono a flettere nell’industria.
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E questa forbice industria-terziario si osserva anche nella dinamica presente della produzione. Con un’aggiunta poco piacevole per noi: l’Europa appare in affanno, vuoi perché il suo manifatturiero si contrae e vuoi perché i suoi servizi decelerano, mentre altrove accelerano.