LE LANCETTE DELL'ECONOMIA

Economia italiana, l’occupazione va, il PIL no. In Europa è recessione e l’America rallenta.

REF

di Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi 

 

LANCETTE

 
 
Quali sono le ragioni della discrasia fra economia debole e occupazione forte?
 
ALLACCIATE LE CINTURE

«Signore e Signori, il Comandante informa che è iniziata la manovra di atterraggio. Si prega di allacciare le cinture di sicurezza…». L’aereo dell’economia mondiale sta scendendo di quota e perdendo velocità, per arrivare sulla pista di una crescita più sostenibile, ossia in linea con le potenzialità e senza inflazione o deflazione.

I mercati scommettono che la manovra sarà senza incidenti e che gli penumatici toccheranno morbidamente terra. In effetti, la probabilità di non essere vittime fatali di un incidente aereo è quasi quattro volte inferiore a quella di essere mangiati da un pescecane (David Ropeik, Harvard University, 2006). È noto, però, che il 70% dei crash avviene proprio in questa delicata fase del volo. Tuttavia, è una statistica obsoleta, perché si riferisce a quando molti aeromobili non erano dotati di un sensore di prossimità dal suolo.

Il problema con l’economia è che questo sensore non può esistere, semplicemente perché non si sa nemmeno a che altitudine stia il suolo, ossia quella crescita potenziale a cui si deve tendere. O meglio, le stime econometriche di tale crescita ci sono eccome e sono fatte seriamente, ma valgono per un periodo medio-lungo, mentre nel “qui e ora” tale crescita può essersi mossa in su o in giù a seconda del contesto storico, sociale, tecnologico, politico e, abbiamo scoperto nel 2020, sanitario. 

Inoltre, ci sono tante e tali turbolenze, a cominciare da quelle tristemente belliche, che i vuoti d’aria e i sussulti sono garantiti. Restiamo fiduciosi sulla perizia dei piloti, nonostante siano costretti dalle circostanze a navigare a vista. Comunque, conviene allacciare le cinture ben strette. 

In effetti, gli indicatori congiunturali di ordini e produzione globali dicono che i motori sono pericolosamente in stallo, persino girano all’indietro: gli ordini, infatti, a livello globale si stanno contraendo, soprattutto quelli dall’estero. A tirarli giù sono le commesse manifatturiere, che sono più sensibili sia alla cura “dimagrante” della politica monetaria (beni di investimento e durevoli, soprattutto) sia alle tensioni geopolitiche che ridisegnano la mappa delle localizzazioni produttive e degli scambi commerciali internazionali. Gli ordini nei servizi, invece, ristagnano.

I dati PMI di produzione consentono di guardare alla composizione geografica del quadro, e i segnali di allarme aumentano per un verso e si attenuano per un altro. L’attenuazione deriva dalla constatazione che l’output non recede. Ha solo smesso di aumentare, con l’indice PMI composito a 50, esattamente in bilico tra aumento e discesa. Ma la tendenza è all’ingiù, come in un inesorabile countdown: dal 54,4 di maggio ogni mese ha contribuito a togliere un pezzo di velocità.

OSSERVATORIO

OSSERVATORIO

L’aumento dell’allarme deriva proprio dalla diversificazione geografica: l’Eurozona è in recessione conclamata, stando a questo dato qualitativo, ormai da un po’ di tempo, precisamente da giugno, e in ottobre ha fatto un ulteriore passo ingiù, nel senso che è accelerata la contrazione. Quel che tiene un po’ più su il PIL è il contributo del settore pubblico, i cui servizi e la cui spesa quanto meno non scendono, così come non spingono nelle fasi brillanti.

La tendenza degli ordini nell’Eurozona è ancora di calo, anzi stanno cadendo al ritmo più elevato dal settembre 2012, in piena crisi di debiti sovrani (tolta la tragica parentesi pandemica). Quindi dobbiamo attenderci altre flessioni di attività. Anche perché molte imprese hanno iniziato a ridurre gli organici, seppure in modo soft (non sostituendo chi va via), e dopo 32 mesi consecutivi di aumento i dipendenti sono rimasti complessivamente stabili. Ciò sottrae quella sorta di paracadute che aveva sorretto i sistemi economici europei finora, rendendoli particolarmente resilienti ai colpi di martello degli aumenti dei tassi subiti sull’incudine del rincaro del costo della vita. Prima di approfondire ciò che sta accadendo nel mercato del lavoro europeo, spostiamo lo sguardo su altre aree del mondo.

Dobbiamo, allora, constatare che, dopo lo straordinario exploit del terzo trimestre (+4,9% annualizzato il PIL), gli Stati Uniti sono in rotta vero un ben più magro ma sempre robusto 2,1% nel quarto. L’occupazione continua a salire, e neanche tanto più lentamente: includendo gli oltre 30mila in sciopero nell’auto (che le statistiche USA non contemplano tra chi lavora), gli occupati nei tre mesi a ottobre sono saliti dell’1,7% annualizzato, in linea con quanto avviene da aprile. Un aumento che è coerente con l’ancora alto numero dei posti vacanti, pari a 1,5 volte i disoccupati in settembre, rapporto sostanzialmente invariato da luglio.

Anche la percezione dei consumatori USA è ancora nettamente a favore di abbondanza di occasioni di lavoro (plentiful batte hard to get 3 a 1), cosicché la loro fiducia resta alta e incompatibile con una minore spesa. Pochi analisti, tuttavia, si rendono conto che la scarsità di lavoratori si era palesata già prima della pandemia, tanto che è dall’inizio del 2018 che ci sono più posti di disponibili, e in misura crescente, rispetto al numero di lavoratori pronti a coglierli. Ciò spiega la tensione del mercato del lavoro americano e di come le pressioni all’aumento salariale persisteranno. Riprendiamo il tema sotto, parlando di inflazione. E comunque la domanda è tenuta su dalla forte spesa pubblica, diretta o via sussidi, in investimenti, per ammodernare le infrastrutture e per rendere concreto lo slogan di Make America great again! 

Girando la testa a Oriente, notiamo l’andatura zigzagante della Cina e l’indebolimento di quella del Giappone, mentre l’India cresce a ritmi solo un po’ meno robusti e le altre economie dell’area soffrono le difficoltà manifatturiere mondiali. La Russia fa storia a sé: economia di guerra galoppante e aggirante le sanzioni grazie alla complicità del resto del Mondo fuori da USA e Europa, resto che in realtà è la stragrande maggioranza. 

Insomma, il quadro è di debolezza con un buco nero, l’Eurozona, e una stella ancora lucente, gli USA. Anche per questo l’atterraggio è più laborioso e periglioso.

Tornando al Vecchio Continente, oltre alla famosa jobless recovery (‘ripresa senza occupazione’, come nel periodo dopo la recessione del 2001 in America), come molte dotte spiegazioni di questo fenomeno, nella fase attuale il bestiario congiunturale offre un nuovo ircocervo: la jobful recession; ossia, un’economia che si indebolisce mentre l’occupazione continua ad aumentare solidamente.

Come abbiamo più volte lamentato, i dati lavoristici nell’Eurozona sono assai scarsi a livello mensile, limitandosi alla sola disoccupazione. La quale a settembre è salita un po’ dopo aver toccato il minimo storico (della storia breve dell’Eurozona) ad agosto. Mentre i dati trimestrali confermano che: il Pil non si muove da quattro trimestri consecutivi, le imprese continuano a cercare dipendenti, gli occupati sono aumentati. Tuttavia, a ottobre la creazione di nuovi posti nel settore privato si è fermata. E in Italia?

Nel Bel Paese la strana coppia della stagnazione da un anno del PIL e dell’aumento dell’occupazione assume connotati estremi, perché i nuovi lavoratori impiegati sono saliti del 2,2% e di oltre mezzo milione di unità. 

 

JOB-MACHINE ITALICA

Cosa sta accadendo? Ci sono varie spiegazioni: ricomposizione verso attività con minore produttività; sottovalutazione della dinamica del PIL; occupazione come indicatore ritardato (luce di stelle ormai morte) necessità delle imprese di completare gli organici. Probabilmente la verità è un mix delle quattro: negli ultimi tempi a tirare sono stati soprattutto i servizi che ruotano attorno ai viaggi e al turismo; non sarebbe la prima volta che il PIL debba essere rivisto verso l’alto; ci vuol del tempo perché dalla caduta della domanda e della produzione si passi alla flessione delle persone impiegate; le aziende italiane, come le altre europee, USA, giapponesi, australiane hanno dovuto lasciare inevasi molti ordini causa mancanza di personale e ora stanno rafforzandosi per essere pronte alla ripartenza.

Resta che di qua e di là dell’Atlantico la resilienza del mercato del lavoro sta funzionando da stabilizzatore dell’aereo in atterraggio.

OSSERVATORIO

OSSERVATORIO

 
IL SALVAGENTE DEL PNRR

L’evoluzione congiunturale dice, però, che la produzione nel quarto trimestre ha cominciato a contrarsi più violentemente in tutta l’Eurozona, con l’eccezione della Spagna (PMI composito output). L’Italia, per una volta tanto, sembra andare meglio di Francia e Germania, quindi non denuncia difficoltà proprie. Ma è una magra consolazione. Anche perché la manovra di bilancio pubblico crea più deficit ma non molta più crescita. Ancora una volta sottolineiamo che abbiamo un enorme salvagente: si chiama PNRR. 

________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 
Fabrizio Galimberti, romano, classe 1941. Bocconiano, ha studiato alla Columbia University di New York, ha insegnato Scienza delle Finanze a Roma e a Ferrara. Poi ha lavorato al Dipartimento di Economia dell’Ocse. A Roma, consigliere economico al Tesoro, con Beniamino Andreatta e con Giovanni Goria. In seguito Chief Economist della Fiat e infine editorialista del Sole 24 Ore.

Luca Paolazzi, economista, advisor di Ceresio Investors. Dall'ottobre 2007 al febbraio 2018 ha diretto il Centro Studi Confindustria. Dal settembre 1986 al settembre 2007 ha lavorato a Il Sole 24 Ore, arrivando a coordinare gli editoriali. Dal marzo 1984 all'agosto 1986 è stato economista all'Ufficio studi FIAT. Autore di numerose pubblicazioni di economia, ha vinto i premi Q8, Brizio e Lingotto per il giornalismo economico.
 
 
 
Leggi di più su
LE LANCETTE DELL’ECONOMIA
https://www.firstonline.info/economia-italiana-loccupazione-va-il-pil-no-in-europa-e-recessione-e-lamerica-rallenta-inflazione-giu-e-tassi-reali-su/

Principali dati economici e finanziari