GENITM | Capitelli

 

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STORIE DI PERSONE DAL MONDO ITALMOBILIARE

 

 

ALLA SCOPERTA DEI GIOVANI ARTIGIANI

Storie di giovani che all’interno delle società del Gruppo svolgono attività caratterizzate da un elevato grado di artigianalità. 
Quei giovani artigiani che a leggere le cronache sembrano introvabili, e che invece abbiamo scoperto essere non solo bravi, ma anche estremamente orgogliosi del loro lavoro. 
 

 

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L’artigianalità è chiave in Capitelli, eccellenza piacentina che produce il miglior prosciutto cotto d’Italia,
il San Giovanni, e altri eccezionali salumi, come la pancetta in tre cotture Giovanna e la spalla cotta Proibita.

Qui incontriamo Davide Lutchanah, nato a Paternò da una coppia di genitori originari delle Mauritius.
La sua famiglia si è trasferita dalla Sicilia a Piacenza quando aveva 14 anni «non è stato facile, era tutto diverso, 
dalle persone sino al clima. Ricordo che prima di venire qui né io né papà avevamo mai visto la neve.
Poi però mi sono ambientato, ed è qui che ho imparato un lavoro
».

Dopo alcune esperienze come commesso, a vent’anni Davide inizia a lavorare come macellaio
«coltivo la passione per la materia prima sin dai tempi dell’istituto turistico. In macelleria ho imparato a riconoscere
la carne, a tagliarla e prepararla, curando ogni dettaglio
».

Davide ci guida all’interno dello stabilimento produttivo, spiegandoci tutti i segreti della produzione, che sono molti. 
Dalla speciale zangolatrice usata per massaggiare la carne, un modello degli anni ’60 «molto migliore di quelle moderne», ai forni dove i prosciutti sono cotti per 24 ore. 

 

Fondamentali però sono anche il tempo «per fare un prosciutto ci mettiamo 10/12 giorni, rispetto ai 4 dei prodotti industriali» e le persone. Vedere gli operatori al lavoro è incredibile, i loro movimenti sono rapidi e precisi, il coltello affilato dopo ogni operazione per consentirgli di fare al meglio il loro lavoro.

 

«Veder preparare un prosciutto può sembrare facile, ma non lo è affatto. Quando ho iniziato qui avevo già sette anni di esperienza in macelleria, ma ho dovuto imparare da zero a fare tutto, persino ad affilare correttamente il coltello. I colleghi mi hanno seguito in tutto, spiegandomi anche come evitare i movimenti inutili, non tanto per fare prima ma soprattutto per faticare meno e per evitare di farsi male».

 

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Un percorso di apprendimento che richiede moltissimo tempo «imparare a disossare bene e rapidamente una coscia può richiedere anche un anno, e comunque arrivare ad essere rapidi come i ragazzi che hai visto è quasi impossibile. Io, ad esempio, non sono al loro livello».

 

Davide è modesto, colpisce sentirgli dire che dopo sette anni che lavora in Capitelli c’è ancora qualcosa che non sa fare. Di certo capiamo quanto è bravo vedendolo preparare la Giovanna, che richiede una legatura molto particolare «la mia firma sono i punti regolari a due dita l’uno dall’altro. È solo una questione estetica, ma per me è fondamentale. È una cosa che ho imparato ai tempi della macelleria, quando mi hanno insegnato che la gente compra prima con gli occhi».

 

Lavorare in Capitelli gli piace perché «in macelleria ognuno faceva per sé, qui è un lavoro di gruppo. Siamo una squadra, dentro l’azienda ma anche fuori, quando ci troviamo per le nostre grigliate. E ci ritroviamo, anche lì, a discutere dei migliori tagli di carne». Il rapporto di Davide coi colleghi è profondo, emerge anche nel suo desiderio di ringraziare «Vince, che mi ha spronato a far domanda per lavorare qui, e Tauland, che mi ha insegnato ogni aspetto del mestiere. Un maestro duro, ma giusto, di quelli che non insegnano solo un lavoro, ma trasmettono una passione». E aggiunge «stare a contatto con il lavoro artigianale ti appassiona, ti avvolge. Vedere il prodotto prendere forma dà soddisfazione, in particolare perché sai che non l’ha fatto una macchina, l’abbiamo fatto noi».

 

Davide ha un solo rammarico «mi piacerebbe che le persone sapessero quanto lavoro c’è dietro all’etto di prosciutto che ordinano al bancone».

 

 

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